Rilancio della lettera aperta del 21 marzo per bloccare tutte le attività non essenziali
e una nota di Virginio Colmegna
Sabato 21 marzo abbiamo sottoscritto la lettera aperta lanciata da alcuni membri dell’associazione Laudato sì per dare voce e sostenere la giusta rivendicazione di sospendere l’attività, portata avanti da molti lavoratori – alcuni dei quali già scesi in sciopero – costretti a lavorare fianco a fianco in aziende e processi produttivi non indispensabili e a ritrovarsi ammassati nei mezzi di trasporto utilizzati per andare e tornare dal lavoro. Questo appello ha riscosso adesioni assai significative: lo riportiamo più sotto con le nuove firme, tra le quali compaiono anche le prime adesioni di rappresentanti sindacali di differenti organizzazioni.
Nel frattempo, anche le confederazioni CGIL, CISL e Uil hanno deciso in modo unitario di chiedere al Governo la chiusura temporanea di tutte le lavorazioni non essenziali. Al termine dell’incontro, il Presidente del Consiglio ne annunciava il fermo, ma questa decisione ha incontrato, prima e dopo il suo annuncio, la netta opposizione di Confindustria che, anche con una lettera del suo Presidente, anteponeva la salvaguardia della continuità produttiva a quella della salute dei lavoratori, delle loro famiglie e della collettività tutta. Così il decreto governativo – pubblicato a distanza di un giorno – consente la prosecuzione delle attività nella quasi generalità dei settori, fino ad includervi persino l’industria bellica. Il fatto che l’industria delle armi continui ad essere promossa e mantenuta in attività è uno scandalo al cospetto degli ammalati e delle vittime, del mondo ospedaliero, delle lavoratrici e dei lavoratori chiamati a rischiare il contagio pur di non fermare la produzione di strumenti di morte.
Non sappiamo attraverso quali meccanismi si sia arrivati a una conclusione che contraddice gli impegni presi con i sindacati (non esistono verbali del confronto), tanto che questi si sono detti pronti a mettere in atto uno sciopero generale; ma tutto il processo decisionale appare viziato da una grave mancanza di trasparenza e da un insufficiente rispetto della salute dei lavoratori e della collettività. Trasparenza e rispetto che dovrebbero accompagnare tutte le procedure attraverso cui il Governo e le sue agenzie decidono i provvedimenti di contenimento della pandemia, che avvengono invece senza il parere di un organismo di controllo tecnico-scientifico indipendente, in presenza di un sistema sanitario spogliato dai successivi tagli subiti negli ultimi decenni, fino a giungere all’attuale mancanza di ogni possibilità di dotarsi per tempo degli indispensabili presidi a tutela della salute pubblica.
Contro le “maglie” decisamente troppo larghe del decreto governativo, gli scioperi in fabbriche e aziende si sono moltiplicati per iniziativa diretta delle lavoratrici e dei lavoratori con i loro rappresentanti. Esprimiamo loro la nostra solidarietà e diamo sostegno alla loro rivendicazione di avere voce in capitolo nel decidere che cosa è essenziale e che cosa no delle produzioni e delle attività in cui sono impegnati in ogni azienda. Auspichiamo che questa iniziativa sia la premessa perché sin da ora l’economia possa imboccare un percorso radicalmente diverso da quello che ci ha condotto all’attuale catastrofe, grazie a una riconquistata capacità dei lavoratori di far valere le loro ragioni insieme a quelle della collettività, sia nelle aziende che nella società. La ricomposta unità nella lotta per la sicurezza e la salute – dai rider senza tutele ai nuclei più organizzati di metalmeccanici, chimici e tessili – lascia sperare in un fronte attorno cui possa crescere la presa di coscienza di tanti movimenti, associazioni e corpi sociali alla ricerca un diverso rapporto con la natura anche per contrastare il cambiamento climatico e promuovere una vera riconversione ecologica.
La nota di Virginio Colmegna sula lettera aperta per la chiusura delle attività produttive
Quanto stiamo vivendo è tragicamente capace di portare sgomento, lasciandoci senza parole. Eppure non possiamo permetterci di essere testimoni muti di decisioni irresponsabili nè essere completamente disorientati in preda allo sgomento.
Viviamo giorni surreali in cui la distanza è la maggior forma di vicinanza nei confronti di se stessi, degli altri e di tutta la collettività. Questa emergenza sanitaria sta aprendo una nuova visione del mondo basata non più sulla centralità dell’io, bensì sulla centralità del noi, ossia sull’imprescindibilità di una dimensione collettiva e plurale per immaginare un futuro. Un futuro che trova il suo fondamento nell’universalità dei diritti costituzionalmente riconosciuti e nel rispetto del valore dei beni comuni.
Ritorna centrale, in questa pandemia, il grande insegnamento dell’enciclica Laudato Si’ che ci fa riscoprire essere parte di uno stesso mondo globale, inevitabilmente interconnesso. Il suo monito fondato sulla necessità di un cambiamento di rotta nel cammino dell’umanità ritorna ad essere quanto mai urgente e puntuale in questi giorni. Un monito che possiamo accogliere e pensare di compiere, se ad agire siamo insieme. Lo stiamo imparando (o rimparando) bene in questi giorni, dove abbiamo capito che, per sconfiggere il virus, serve l’impegno, la collaborazione e la resistenza di tutti, nessuno escluso.
Le rinunce e i sacrifici sono in nome di un bene comune. Si esplica quindi una nuova socialità oggi testimoniata dalle azioni coscientemente solidali che si stanno dispiegando su tutto il territorio nazionale. L’esempio più straordinario ci arriva dai reparti ospedalieri, dove gli operatori sanitari – medici, infermieri e pazienti – dimostrano un coraggio che alimenta la speranza.
Vi è poi anche un’altra grande solidarietà alla quale dobbiamo essere ugualmente tanto grati. Una solidarietà che non compare in prima linea, bensì nelle retrovie e non per questo meno importante. Mi riferisco agli operatori e ai volontari che impegnati nei servizi di cura e nelle realtà comunitarie stanno oggi, con professionalità e devozione, improvvisando nuove forme per garantire, nel rispetto delle norme di sicurezza, aiuto e presenza a chi è più fragile e in difficoltà.
Non possiamo che far tesoro di questa esperienza e di tutte quelle forze innovative e spontanee che stanno dimostrando l’esistenza e la ricchezza di un tessuto sociale coeso e solidale. Dobbiamo però prestare molta attenzione: se davvero vogliamo dare vita ad una nuova visione del mondo non più fondata sul comportamento umano individualistico, allora dobbiamo lavorare da subito e con radicalità.
Diciamolo forte e chiaro: di fronte alla pandemia non siamo tutti uguali e le misure che fronteggiano questa emergenza rischiano di provocare fratture inique nella società. In queste misure, c’è chi è dentro e chi rimane fuori. Mi riferisco a tutto un mondo di lavoratori, italiani e stranieri, la cui funzione è essenziale, eppure spesso rimane invisibile e non tutelata. Penso ai lavoratori saltuari, agli impiegati nei supermercati, agli operatori della grande distribuzione, agli operai, ai rider, ai fattorini, ai facchini, ai lavoratori nell’agricoltura, ai care-giver, agli operatori nell’accoglienza, ecc. ecc. Penso a tutte quelle persone insomma che lavorano in condizioni vulnerabili, precarie o irregolari per i quali proteggersi diventa difficile, se non impossibile.
In questi giorni si è a lungo dibattuto su quali fossero i beni e i servizi essenziali per i quali continuare la produzione. Non tocca a noi decidere quale sia l’essenzialità di questi beni e di questi servizi, tuttavia reputo fondamentale che, nella garanzia di un processo trasparente e condiviso delle informazioni, venga ascoltata la voce dei diretti interessati. Emerge un vivace protagonismo da parte delle lavoratrici e dei lavoratori che merita di essere valorizzato poiché esso non è espressione egoistica della difesa della propria sopravvivenza, ma salvaguardia del diritto alla salute e tutela della sicurezza e del benessere della collettività intera.
Abbiamo bisogno di nuove consapevolezze e responsabilità, come società e soprattutto come istituzioni rappresentanti questa società. Un segno positivo ed incoraggiante che guardo come accadimento nuovo nelle coscienze arriva dalle numerose persone che hanno prontamente aderito alla lettera-appello dell’Associazione Laudato Si’. Questa lettera, insieme alle posizioni del sindacato unito nelle sue configurazioni, suggerisce una strada diversa, per un cambiamento radicale, affinché il “dopo” non torni ad essere uguale al “prima”.
Virginio Colmegna Associazione Laudato Sì, Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale