LETTERA APERTA
22 marzo 2020
La situazione drammatica che vive in questo momento la Lombardia non consente ulteriori rinvii rispetto all’assunzione di provvedimenti che si pongano l’obiettivo di contrastare in ogni modo la pandemia del Covid-19.
In Lombardia si concentrano quasi la metà dei casi registrati di Covid-19 – ventimila persone al 19 marzo – e quasi i due terzi delle persone decedute, rispetto all’insieme del paese.
Numeri che vengono considerati pesantemente sottostimati, in particolare nelle province più colpite, per le tantissime persone anziane che muoiono in casa o nelle residenze assistite senza che venga eseguito il tampone.
Sono colpiti gravissimamente medici, infermieri, operatori sanitari, molti ospedali non sono ormai più in grado di assicurare posti letto e risposte adeguate. Sono strazianti le scene che abbiamo visto in questi giorni.
Si è scritto che il 40% dei lombardi non rispetta l’obbligo di restare a casa. Chiediamoci il perché. In tutta la Lombardia – comprese le province maggiormente toccate dall’epidemia, e l’area metropolitana di Milano – centinaia di migliaia di persone sono costrette a spostarsi ogni giorno usando treni, autobus e metro per paura di perdere il lavoro, a causa di imprenditori sordi alla necessità di chiudere produzioni non essenziali.
Non è possibile rispettare le norme di sicurezza negli spostamenti, né è possibile verificare il rispetto del “distanziamento sociale” nelle tante realtà produttive della regione, specie in quelle piccole e piccolissime, dove i lavoratori operano gomito a gomito nelle fabbriche e negli uffici.
Cosa può pensare un lavoratore costretto a rischiare il contagio pur di non perdere il lavoro, vedendo la scritta luminosa “State a casa” sul palazzo della Regione Lombardia?
Non è accettabile che il profitto degli imprenditori abbia la meglio sulla salute dei lavoratori e sulla sicurezza sanitaria della collettività.
Di fronte alla morte di un terzo delle vittime registrate ora in Italia, nella provincia cinese dello Hubei è stata presa la decisione di chiudere tutte le fabbriche, insieme agli uffici pubblici e privati. È inaccettabile che una retorica della “produttività lombarda” divenga il veicolo del virus.
Chiediamo alle istituzioni centrali e locali di tutelare la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici delle industrie e dell’indotto, imponendo immediatamente la chiusura di tutte le attività non considerate rigorosamente necessarie, e garantendo la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale a chi, per il bene della collettività, è chiamato a continuare le produzioni ritenute indispensabili. ORA.
Silvio Garattini, Virginio Colmegna, Daniela Padoan, Mario Agostinelli, Emilio Molinari, Simona Sambati, Oreste Magni, Guido Viale, Moni Ovadia, Antonio Pizzinato, Gad Lerner, Luigi Manconi, Laura Cima, Benedetto Saraceno, Francesco Maisto, Grazia Francescato, Gianni Tognoni, Piero Bevilacqua, Paolo Cacciari, Lea Melandri, Marco Revelli, Tonino Perna, Tomaso Montanari, Roberta Turi, Enzo Scandurra, Roberta Fantozzi, Aldo Bonomi, Riccardo Petrella, Laura Marchetti, Ignazio Masulli, Alfonso Gianni, Paolo Favilli, Raffaella Bolini, Vittorio Agnoletto, Gino Strada, Franco Arminio, Leonardo Caffo, Battista Sangineto, Piero Di Siena, Vezio De Lucia, Graziella Tonon, Giancarlo Consonni, Alberto Magnaghi, Paolo Lucchesi, Angelo Consoli, Walter Ganapini, Alessandro Pagano, Vittorio Bellavite, Paolo Mattiello, Marco Bentivogli, Christian Gambarelli, Andrea Donegà, Andrea Ascari, Debora Rizzuto, Bruno Ravasio, Enrico Vacca, Omar Cattaneo, Giuseppe Rossi, Vittorio Cantoni, Mario Mangili, Jose Luis Tagliaferro, Maria Carla Baroni, Gioacchino Garofoli, Alfiero Grandi, Franco Padella, Danilo Tosarelli, Gianfranco Prini, Elio Pagani, Marco D’Isanto, Paola Regina, Nicolò Di Stefano, Bruno Hassemer, Pierantonio Montecucco, Enrico Pugliese, Anna Donati, Giuseppe De Marzo, Laura Quagliolo, Licia Roselli